Leopardi, le ricordanze e il messaggio per i genitori.
Lo Zibaldone leopardiano, meraviglioso scrigno di pensieri, riflessioni e vissuto dello sconfinato scrittore e poeta di Recanati, la cui grandezza caratterizza l’Ottocento ben oltre le sue opere. Dallo Zibaldone è possibile pescare formidabili insegnamenti che la sua caratura filosofica ha fissato come… INFINITI.
Certo, la mastodontica raccolta è anche lunga ed intima confessione del percorso di evoluzione del pessimismo leopardiano, da storico a cosmico. Ma attenzione: egli non ha avuto affatto un cuore di cristallo e nel suo pessimismo non c’è un epitaffio alla vita ma viceversa moltissimi inni ad essa. Ha messo nelle sue opere e nel suo corso filosofico la propria esperienza di vita ma a ben leggere ed interpretare non possiamo non ricavare innumerevoli messaggi fondamentali, vitali e positivi dagli scritti che ci ha lasciato in eredità.
Potrebbe apparire, questa, una visione troppo “luminosa” dell’IO leopardiano. Obiezione respinta, Vostro Onore: è sufficiente notare come e quanto abbia saputo coniugare il Vero e il Bello. Perché prodursi in quel modo esprimendo il doloroso vero con prosa e poesia di tali bellezza, fascino e massimo livello letterario, se non per amor della vita? Viene quindi spontaneo affermare che la sofferenza di Leopardi è sfociata nell’espressione della sua grande reazione ad essa e la voglia di vita sublimata infine in una Fede malcelata ma ben presente. Avrebbe di certo voluto vivere più a lungo, ad esempio per creare uno o più libri proprio dalla raccolta.
Guardiamo ora ad esempio a questo stralcio de “Il giardino della sofferenza”.
“Entrate in un giardino di piante, d’erbe, di fiori. Sia pur quanto volete ridente. Sia nella più mite stagion dell’anno.
Voi non potete volger lo sguardo in nessuna parte che voi non vi troviate del patimento. Tutta quella famiglia di vegetali è in stato di souffrance, qual individuo più, qual meno.
Là quella rosa è offesa dal sole, che gli ha dato la vita; si corruga, langue, appassisce. Là quel giglio è succhiato crudelmente da un’ape, nelle sue parti più sensibili, più vitali. Il dolce mele non si fabbrica dalle industriose, pazienti, buone, virtuose api senza indicibili tormenti di quellefibre delicatissime, senza strage spietata di teneri fiorellini.
Quell’albero è infestato da un formicaio, quell’altro da bruchi, da mosche, da lumache, da zanzare; questo è ferito nella scorza e cruciato dall’aria o dal sole che penetra nella piaga; quello è offeso nel tronco o nelle radici; quell’altro ha più foglie secche; quest’altro è róso, morsicato neifiori; quello trafitto, punzecchiato nei frutti. Quella pianta ha troppo caldo, questa troppo fresco; troppa luce, troppa ombra; troppo umido troppo secco.”
Ebbene, non vi è forse in ogni patimento, sventura, dolore la scintilla di una Nuova Vita? Leopardi sembra dunque non accettare il ciclo naturale di vita e morte, cioè di trasformazione, né, banalmente, la catena alimentare. Eppure studia e “dipinge” continuamente tutto questo. Disilluso, certo; sofferente, si. Eppure il più grande.
Arriviamo ora alla Fanciullezza
“Da fanciulli, se una veduta, una campagna, una pittura, un suono ec. un racconto, una descrizione, una favola, un’immagine poetica, un sogno, ci piace e diletta, quel piacere e quel diletto è sempre vago e indefinito: l’idea che ci si desta è sempre indeterminata e senza limiti: ogni consolazione, ogni piacere, ogni aspettativa, ogni disegno, illusione ec. (quasi anche ogni concezione) di quell’età tien sempre all’infinito: e ci pasce e ci riempie l’anima indicibilmente, anche mediante i minimi oggetti. Da grandi, o siano piaceri e oggetti maggiori, o quei medesimi che ci allettavano da fanciulli, come una bella prospettiva, campagna, pittura ec. proveremo un piacere, ma non sarà più simile in nessun modo all’infinito, o certo non sarà così intensamente, sensibilmente, durevolmente ed essenzialmente vago e indeterminato. Il piacere di quella sensazione si determina subito e si circoscrive: appena comprendiamo qual fosse la strada che prendeva l’immaginazione nostra da fanciulli, per arrivare con quegli stessi mezzi, e in quelle stesse circostanze, o anche in proporzione, all’idea ed al piacere indefinito, e dimorarvi. Anzi, osservate che forse la massima parte delle immagini e sensazioni indefinite che noi proviamo pure dopo la fanciullezza e nel resto della vita, non sono altro che una rimembranza della fanciullezza, si riferiscono a lei, dipendono e derivano da lei, sono come un influsso e una conseguenza di lei; o in genere, o anche in ispecie; vale a dire, proviamo quella tal sensazione, idea, piacere ec., perché ci ricordiamo e ci si rappresenta alla fantasia quella stessa sensazione immagine ec. provata da fanciulli, e come la provammo in quelle stesse circostanze. Così che la sensazione presente non deriva immediatamente dalle cose, non e un immagine degli oggetti, ma della immagine fanciullesca; una ricordanza, una ripetizione, una ripercussione o riflesso della immagine antica.”
(G. Leopardi, Zibaldone, 514-516)
In questo quadro c’è anche la normale evoluzione che tutti noi contiamo dallo stato dei bambini a quello di adulti, il che avvalora ancor più l’importanza di tutto ciò che da bambini si apprende ma soprattutto si prova dentro.
… e hai detto niente!
Signore e signori, Giacomo Leopardi ha messo molti più significati tra le righe che non nelle stesse ed è la sfida alle quale ci ha chiamati, quella dei comprenderli.
Signori genitori e voi che aspirate ad esserlo, sappiate che in tutto questo ce n’è abbastanza per comprendere che ai bambini bisogna lasciar fare i bambini, ai fanciulli e fanciulle parimenti “il loro mestiere”. Smettiamola di vantare i nostri piccoli perché in tenerissima età già sono in grado di “smanettare” con un computer o una PlayStation, perché “imparano molto prima le cose” o perché “sono più intelligenti degli altri”. lasciamo che vivano la loro dimensione di bambini e bambine, di adolescenti, con tutto ciò che questo comporta perché un giorno, da adulti, nonostante i patimenti le ricordanze terranno sempre in vita la loro anima.
Chissà se Giacomo Leopardi lassù ha saputo di essere diventato immortale.
